La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7491 del 20 marzo 2025, ha sancito un importante principio giuridico destinato ad avere un impatto concreto sulla gestione delle assemblee condominiali e sui diritti dei singoli condòmini. Secondo la Suprema Corte, non è necessario convocare un condòmino alla riunione assembleare quando l’oggetto della delibera riguarda un’azione giudiziaria promossa contro di lui.

Questo orientamento risolve un dubbio interpretativo che, fino a oggi, ha spesso generato contenziosi e incertezze gestionali, soprattutto in quei casi in cui un singolo proprietario è in conflitto diretto con il condominio.

Il caso: una delibera contestata per omessa convocazione

La vicenda trae origine da una causa promossa da una condòmina contro il proprio condominio, in merito all’uso di un locale seminterrato di sua proprietà. In risposta, l’assemblea condominiale ha deliberato di costituirsi in giudizio, affidando mandato a un legale.

La condòmina, però, ha impugnato la delibera, sostenendo che fosse illegittima in quanto adottata senza averla previamente convocata. Il giudice di primo grado ha accolto parzialmente il ricorso, mentre la Corte d’Appello di Palermo ha successivamente annullato integralmente la delibera, ritenendo che l’omessa convocazione avesse violato l’articolo 66 delle disposizioni di attuazione al Codice Civile.

Il ribaltamento della Cassazione: interesse confliggente e legittima esclusione

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso del condominio, ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello. La motivazione è chiara: il condòmino destinatario dell’azione legale non ha il diritto di partecipare all’assemblea che delibera proprio su tale azione, in quanto portatore di un interesse confliggente con quello della restante collettività condominiale.

In altre parole, quando l’assemblea si riunisce per deliberare se costituirsi o meno in giudizio contro un condòmino, si crea una scissione soggettiva tra chi vota e chi è parte avversa nel procedimento, rendendo quest’ultimo estraneo al processo decisionale.

“Nell’ipotesi di controversia tra condominio e uno o più condòmini, la compagine condominiale si scinde in due gruppi contrapposti: da un lato i deliberanti, dall’altro i destinatari della decisione”, recita un passaggio chiave della sentenza.

Il raffronto con il diritto societario e il rifiuto dell’analogia

Un aspetto interessante del ragionamento della Corte riguarda il rifiuto dell’analogia con l’art. 2373 del Codice Civile, norma che disciplina il conflitto d’interessi nelle assemblee societarie. In quel contesto, il socio in conflitto non viene escluso dalla riunione, ma il suo voto può essere causa di annullamento della delibera, solo se determinante.

La Cassazione afferma però che il contesto condominiale è diverso da quello societario. Nel condominio, la natura collettiva e paritaria della proprietà comune, così come la finalità dell’assemblea, impongono un principio più netto: il condòmino in conflitto diretto con l’interesse dell’ente di gestione deve essere escluso dalla votazione e dalla partecipazione all’assemblea.

Implicazioni pratiche per amministratori e società di gestione

Per gli amministratori condominiali, i consulenti legali e le società di gestione immobiliare come Building Management Group, questa sentenza offre un chiarimento fondamentale, utile per:

  • Gestire correttamente le convocazioni alle assemblee in caso di contenziosi;
  • Prevenire impugnazioni inutili o infondate da parte di condòmini in conflitto con l’ente;
  • Tutelare la validità delle delibere adottate con criteri corretti e coerenti con la giurisprudenza;
  • Assicurare trasparenza e imparzialità nella gestione delle liti interne alla compagine condominiale.

Inoltre, il principio espresso dalla Cassazione offre agli amministratori una base legale solida per prendere decisioni senza timore di vizi procedurali, evitando che la semplice omessa convocazione possa diventare un pretesto per rallentare l’azione legale del condominio.

Un precedente giurisprudenziale di riferimento

Questa pronuncia si inserisce nel solco di precedenti simili, come la sentenza n. 3192/2023, che già delineava l’estraneità del condòmino parte in causa rispetto al corpo deliberante dell’assemblea. Con la sentenza del 2025, però, la Corte chiarisce in modo definitivo che l’interesse del singolo in conflitto è incompatibile con il diritto di partecipazione all’assemblea.

Conclusione: più certezza giuridica, meno contenziosi

La sentenza n. 7491/2025 rappresenta una tappa importante nell’evoluzione del diritto condominiale italiano. Stabilisce con chiarezza che non tutti i condòmini devono essere convocati in ogni circostanza, soprattutto se sono parte avversa nel procedimento oggetto della delibera.

Per realtà specializzate come Building Management Group, questa decisione contribuisce a semplificare la gestione delle assemblee, a ridurre i margini di incertezza legale e a garantire una governance più efficiente e protetta da invalidazioni procedurali.

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